1. Che cos’è la vitamina D e a cosa serve?
2. Quali sono i valori ottimali di vitamina D?
3. Quali sono le cause dell’ipovitaminosi D?
4. Quali sono le conseguenze dell’ipovitaminosi D?
5. Come si aumentano i livelli di vitamina D?
1. Che cos’è la vitamina D e a cosa serve?
Con il termine “vitamina D” si fa riferimento ad un gruppo di vitamine liposolubili che svolgono diverse funzioni fisiologiche, tra cui regolare l'omeostasi e il metabolismo del calcio e del fosfato, favorendo la crescita fisiologica dello scheletro e la corretta mineralizzazione ossea.
La vitamina D in parte viene prodotta a livello della cute, tramite una reazione che richiede l’esposizione alla luce solare, ed in parte viene assunta con gli alimenti.
2. Quali sono i valori ottimali di vitamina D?
I livelli sierici di vitamina D variano molto in base a diverse variabili, le più importanti sono:
- Età
- Stagione meteorologica
- Latitudine
- Grado di esposizione alla luce solare
- Fototipo
- Indice di massa corporea (IMC).
Non esistono valori di livelli sierici di vitamina D ottimali, che siano validi per tutti: questi valori variano in base a diversi fattori, primo tra tutti l’eventuale presenza di osteoporosi o altre malattie metaboliche dell’osso e l’eventuale terapia con farmaci antifratturativi.
Di certo, valori di vitamina D <10 ng/mL rappresentano una condizione di grave carenza: se protratti nel tempo, portano a rachitismo e osteomalacia. Inoltre valori sierici <20 ng/mL si associano ad un aumento del rischio di frattura ossea. In particolare, secondo la Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS), il livello di vitamina D nell’organismo viene definito:
- Deficiente: per livelli di vitamina D < 10 ng/mL
- Insufficiente: per livelli di vitamina D < 20 ng/mL
- Ottimale: per livelli di vitamina D compresi tra 20-50 ng/mL.
Invece nei pazienti con osteoporosi - specialmente se trattati con farmaci antiosteoporotici - e nei soggetti a rischio di ipovitaminosi D viene considerato ottimale un valore di 30 ng/mL.
I soggetti a rischio di ipovitaminosi D sono:
- Anziani (≥ 75 anni)
- Soggetti istituzionalizzati (pazienti ricoverati in strutture di assistenza) e che abbiano un’esposizione solare inadeguata
- Obesi
- Donne in gravidanza o durante l’allattamento
- Soggetti affetti da malattie metaboliche delle ossa e da altri disturbi dello scheletro
- Soggetti che seguono una dieta vegana
- Soggetti affetti da anoressia nervosa
- Soggetti affetti da insufficienza renale cronica
- Soggetti affetti da cancro (in particolare della mammella, della prostata e del colon)
- Soggetti affetti da diabete mellito di tipo 2
- Soggetti affetti da malassorbimento intestinale e chirurgia bariatrica
- Soggetti che assumono farmaci che interferiscono con l’assorbimento o il metabolismo epatico della vitamina D (antiepilettici, glucocorticoidi, antivirali, agenti antimicotici, colestiramina)
- Soggetti affetti da fibrosi cistica
L’ipovitaminosi D è estremamente diffusa: si stima addirittura che circa 1 miliardo di persone in tutto il mondo presentino questa condizione. La gran parte di loro sono persone anziane.
3. Quali sono le cause dell’ipovitaminosi D?
Le principali condizioni che portano a livelli non adeguati di vitamina D nel nostro organismo sono:
- Ridotto introito di alimenti con vitamina D: i principali alimenti contenenti vitamina D sono il latte e i suoi derivati, ma anche il pesce e le uova. Spesso però l’alimentazione non riesce a garantire il giusto introito di vitamina D
- Alterato assorbimento intestinale di vitamina D: frequente negli alcolisti, nei soggetti sottoposti a by-pass gastrico e nei soggetti affetti da celiachia e malattia di Crohn
- Inadeguata esposizione solare: parte della vitamina D viene ottenuta a livello della cute grazie all’esposizione solare, di conseguenza i soggetti che si espongono poco alla luce solare tendono ad avere livelli più bassi di vitamina D
- Insufficienza renale o epatica: il rene e il fegato sono gli organi nei quali avviene la conversione dei precursori della vitamina D, quindi se è presente nell’organismo una compromissione della funzionalità di questi organi anche i livelli di vitamina D risulteranno ridotti
- Assunzione di farmaci che interferiscono con il metabolismo della vitamina D: i più comuni sono antiepilettici, glucocorticoidi, antivirali, agenti antimicotici e la colestiramina
- Obesità: la vitamina D è una proteina liposolubile. Da ciò deriva il fatto che il tessuto adiposo può sequestrare questa vitamina e ridurne la biodisponibilità.
4. Quali sono le conseguenze dell’ipovitaminosi D?
I livelli sierici di vitamina D non ottimali possono generare una serie di conseguenze che interessano diversi apparati o sistemi del nostro organismo. Le principali sono:
- Disturbi muscoloscheletrici: bassi livelli di vitamina D possono portare allo sviluppo di rachitismo durante l’infanzia, oppure di osteoporosi e osteomalacia durante l’età adulta, comportando l’aumento del rischio di subire fratture
- Patologie cardiovascolari: anche se non è ancora chiaro il meccanismo che lega i due fenomeni, livelli ridotti di vitamina D sembrano associarsi ad un aumento di malattie cardiovascolari
- Patologie oncologiche: alcune ricerche hanno suggerito una relazione tra carenza di vitamina D e aumento del rischio di alcune forme di cancro, come quello del colon-retto
- Disturbi psichiatrici: alcuni studi hanno suggerito una relazione tra carenza di vitamina D e i disturbi d’ansia e depressione, anche se i meccanismi che regolano questa relazione non sono stati ancora completamente compresi.
5. Come si aumentano i livelli di vitamina D?
Per normalizzare i livelli di vitamina D, si possono utilizzare diverse strategie in base alla causa della carenza stessa:
- Aumentare l’esposizione solare: se non controindicato e se lo condizioni socio-sanitarie lo permettono, esporsi al sole per circa 30 minuti al giorno - evitando le ore più calde e utilizzando un’adeguata protezione solare - può aumentare i livelli di vitamina D
- Aumentare l’introito alimentare: consumare cibi ricchi di vitamina D può rappresentare una soluzione alla carenza di vitamina D, ma ovviamente non potrà essere efficace in condizioni di malassorbimento o di insufficienza renale/epatica
- Usare gli integratori: gli integratori di vitamina D disponibili sul mercato sono numerosi e variano per molecola utilizzata (colecalciferolo, calcifediolo o calcitriolo) e per concentrazione. Qualsiasi integratore si scelga, essendo la vitamina D liposolubile, per massimizzarne l’assorbimento bisogna assumere l’integratore alla fine del pasto più ricco di grassi. Per quanto riguarda il dosaggio, la Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS) consiglia una dose di integrazione per via orale di colecalciferolo tra 800 UI e 2000 UI/die. In soggetti obesi la posologia del colecalciferolo dovrebbe essere aumentata di circa il 30% rispetto alla dose utilizzata in individui con indice di massa corporea normale. In soggetti che necessitano di una rapida normalizzazione dei livelli di vitamina D (osteomalacia sintomatica o in chi deve iniziare acido zoledronico o denosumab) è consigliato l’uso di una dose iniziale di carico seguita da dose di mantenimento: come dose di carico, è consigliato colecalciferolo 3.000-10.000 UI/die per 1-2 mesi, o colecalciferolo in una singola dose da 60.000 a 150.000 UI seguita dalla dose di mantenimento (2000 UI/die), oppure calcifediolo 20-40 mcg/ die (4-8 gtt/die) per 20-30 giorni, prima di passare alla dose di mantenimento con colecalciferolo.