1. Quali sono gli antidiabetici orali e quando si usano?
2. Secretagoghi dell’insulina
3. Sensibilizzanti dell’azione insulinica
4. Inibitori dell’assorbimento dei glucidi
5. Modulatori incretinici
6. Glicosurici
1. Quali sono gli antidiabetici orali e quando si usano?
Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata dalla combinazione di una ridotta secrezione insulinica e di vari gradi di resistenza periferica all'insulina stessa, che determina uno stato di iperglicemia. Questo tipo di malattia è caratterizzata da una importante mortalità e da diverse comorbidità, soprattutto di tipo vascolare, distinte in microangiopatiche (retinopatia, nefropatia, neuropatia) e macroangiopatiche (infarto del miocardio, ictus ischemico, arteriopatia obliterante).
Per prevenire tali complicanze e modificare la storia naturale della malattia è fondamentale effettuare un controllo dei valori glicemici, prima con la dieta e l’attività fisica e poi con la terapia farmacologica che cambia a seconda del tipo di diabete e delle caratteristiche metaboliche del soggetto affetto.
Si distinguono due forme principali di diabete:
- il diabete di tipo 1, in cui si ha una carenza d’insulina endogena che rende necessaria una terapia sostitutiva
- il diabete di tipo 2, in cui troviamo una condizione di insulino-resistenza e un’incapacità delle cellule beta del pancreas di compensare questa riduzione di sensibilità: per combattere questo tipo d diabete si utilizzano di solito farmaci antidiabetici orali, e soltanto quando si verifica l’esaurimento funzionale della beta cellula si passa alla terapia sostitutiva.
I farmaci antidiabetici orali, che agiscono per migliorare il controllo glicemico e come abbiamo appena visto si utilizzano nel trattamento del diabete mellito di tipo 2, si distinguono in:
- Secretagoghi dell’insulina (sulfoniluree e glinidi)
- Sensibilizzanti l’azione insulinica sui tessuti bersaglio (biguanidi e i tiazolidinedioni)
- Inibitori dell’assorbimento dei glucidi (antagonisti dell’alfa-glicosidasi)
- Modulatori incretinici che agiscono inibendo la dipeptidilpeptidasi 4 (DDP-4)
- Glicosurici che agiscono inibendo il co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLUT2) a livello del tubulo renale.
2. Secretagoghi dell’insulina
I secretagoghi dell’insulina, come le sulfoniluree e i glinidi, abbassano la glicemia promuovendo la secrezione di insulina da parte delle beta cellule pancreatiche e possono migliorare secondariamente la sensibilità periferica ed epatica all'insulina, riducendo la tossicità dovuta al glucosio. Tra le sulfoniluree ricordiamo glibenclamide, glimepiride, gliclazide, clorpropamide, mentre tra i glinidi abbiamo repaglinide e nateglinide.
Tutte le sulfoniluree promuovono l'iperinsulinemia e possono determinare un aumento di peso da 2 a 5 kg che, con il tempo, può incrementare la resistenza all’insulina e limitarne l’efficacia. Tutte le sulfoniluree possono inoltre provocare ipoglicemia, soprattutto se il soggetto ha più di 65 anni, utilizza farmaci di vecchia generazione, segue un’alimentazione non pianificata e soffre anche di insufficienza renale o epatica.
I Glinidi hanno un'azione più rapida e possono stimolare la secrezione insulinica più durante i pasti che in altri momenti, di conseguenza riducono il rischio di iperglicemia postprandiale e di ipoglicemia a digiuno.
3. Sensibilizzanti dell’azione insulinica
I sensibilizzanti dell’azione insulinica, come biguanidi e tiazolidinedioni, ne facilitano l’attività a livello dei tessuti insulino-dipendenti (fegato, muscolo e tessuto adiposo).
Entrambi agiscono modificando il metabolismo epatico con diversi bersagli al fine di ridurre l’insulino-resistenza.
Tra le biguanidi c’è il farmaco antidiabetico orale più utilizzato in assoluto, ovvero la metformina, che agisce riducendo la gluconeogenesi epatica, aumentando la captazione di glucosio dal circolo e la glicolisi e riducendo l’assorbimento di glucosio dall’apparato gastro-intestinale. Tutto ciò determina un effetto risparmiatore sull’insulina: aumentando la sensibilità, le beta cellule epatiche possono secernere meno insulina e salvarsi dall’usura. Le biguanidi hanno anche un effetto anoressigeno e per tale motivo rappresentano la prima scelta nel soggetto con diabete di tipo 2, che nel 90% dei casi è in sovrappeso. Con questi farmaci non si rischia ipoglicemia, ma le reazioni avverse possono essere disturbi gastrointestinali, malassorbimento di vitamina B12 e folati e la comparsa di acidosi lattica.
I tiazolidinedioni, tra cui ricordiamo pioglitazone e rosiglitazone, agiscono su un recettore nucleare, attivando la trascrizione di numerosi geni che determinano la riduzione della gluconeogenesi e la redistribuzione del grasso corporeo, aumentando a parità di peso l’adipe sottocutaneo, riducendo quello viscerale e promuovendo un effetto anti-infiammatorio. Tra gli effetti avversi ricordiamo epatotossicità, ritenzione idrica, aumentato rischio di fratture ossee e interazione con altri farmaci a metabolismo epatico (contraccettivi orali e ciclosporina).
4. Inibitori dell’assorbimento dei glucidi
Questi farmaci appartengono alla classe degli inibitori dell’alfa-glucosidasi e comprendono acarbosio e miglitolo. Il loro meccanismo d’azione consiste nell’inibire le glucosidasi, degli enzimi intestinali che scindono gli zuccheri complessi provenienti dalla dieta in zuccheri semplici: in questo modo i carboidrati vengono digeriti e assorbiti più lentamente, riducendo così l’iperglicemia postprandiale. Non aumentano il rischio di ipoglicemia ma non hanno effetto a digiuno: per tale motivo sono meno efficaci di altri antidiabetici e solitamente vengono utilizzati in combinazione. Quanto agli effetti avversi, spesso possono causare disturbi gastrointestinali che possono indurre i soggetti a sospendere la terapia.
5. Modulatori incretinici
Tra i modulatori incretinici ricordiamo i GLP-1 mimetici (a somministrazione sottocunea) e gli inibitori della DPP-4 (antidiabetici orali). Tali farmaci hanno la funzione di modulare l’attività delle incretine. Il GLP-1 (glucagon like peptide-1) e il GIP (gastric inhibitor peptide) sono due peptidi che svolgono un ruolo nella regolazione della glicemia, modulando il centro della sazietà, stimolando la secrezione di insulina con effetto protettivo sulla beta cellula pancreatica e inibendo la secrezione di glucagone.
Gli inibitori della DPP-4, come alogliptin, linagliptin, saxagliptin e sitagliptin, impediscono la degradazione del GLP-1 e del GIP svolta proprio ad opera della DDP-4: in questo modo si prolunga l’azione dei peptidi endogeni. Tali farmaci hanno un buon effetto sui valori dell’emoglobina glicata, non hanno influenza sul peso corporeo e hanno un rischio di ipoglicemia molto basso. A seguito del loro utilizzo, tuttavia, vi è un lieve aumento del rischio di pancreatite.
6. Glicosurici
Questi farmaci agiscono inibendo il co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2) nel tubulo prossimale del rene, bloccando il riassorbimento del glucosio che viene escreto con le urine generando glicosuria e abbassando i livelli di glucosio plasmatico. In questo caso quindi l’effetto non è quello di modulare il metabolismo, ma di ridurre la glicemia semplicemente aumentandone l’escrezione. Appartengono a tale classe canagliflozin, dapagliflozin, empagiflozin e ertugiflozin.
Gli inibitori di SGLUT2 possono anche causare una modesta perdita di peso e un abbassamento della pressione arteriosa. Inoltre hanno dimostrato di ridurre la mortalità, gli eventi cardiovascolari e i ricoveri per scompenso in soggetti affetti da scompenso cardiaco cronico anche in assenza di diabete e la progressione della malattia renale cronica in soggetti diabetici.
Si tratta di farmaci estremamente versatili, il cui utilizzo negli ultimi anni sta diventando ampio. Aumentando i livelli di glucosio nelle urine, tuttavia, i soggetti che assumono tali farmaci sono maggiormente esposti al rischio di infezioni delle vie urinarie. Inoltre è stato dimostrato un rischio aumentato di chetoacidosi diabetica.