1. Quali sono le malattie del fegato più comuni?
2. Perché è importante saper riconoscere un problema al fegato?
3. Le malattie epatiche danno sintomi?
4. Come sospettare un problema al fegato?
5. Quali indagini ulteriori è consigliato eseguire?
1. Quali sono le malattie del fegato più comuni?
Le patologie epatiche più comuni comprendono:
- l’epatite acuta, ossia l’infiammazione acuta del fegato, solitamente dovuta a infezione da parte di virus epatropi (epatite A, B, C, D e E), assunzione eccessiva di alcol o farmaci o alterazioni metaboliche e condizioni ereditarie
- la steatosi, ossia l’accumulo di grasso nel fegato, che può essere originato dall’assunzione di alcol oppure da problemi metabolici come l’obesità, il sovrappeso o il diabete
- la steatoepatite, ossia la condizione in cui alla steatosi si associano processi di infiammazione, di cicatrizzazione e di morte dei tessuti, che rischiano di alterare in modo definitivo la funzionalità del fegato
- le malattie autoimmuni, come l’epatite autoimmune, la colangite sclerosante primitiva o la colangite biliare primitiva: si tratta di forme in cui il sistema immunitario attacca le cellule epatiche (epatite) o dei dotti biliari (colangite), non riconoscendole come parte dell’organismo
- l’epatite cronica, che si realizza quando l’infiammazione persiste a lungo: in genere è dovuta ad un’infezione cronica sostenuta dai virus dell’epatite B o C, alla presenza di malattie autoimmuni oppure può derivare da una steatoepatite alcolica o non alcolica o dall’assunzione eccessiva di farmaci
- la cirrosi epatica: una condizione che deriva dalla presenza di un’infiammazione cronica, in cui il danno cellulare è diventato talmente diffuso che la formazione di tessuto di rigenerazione sovverte totalmente l’architettura epatica. Rappresenta l’evoluzione naturale dell’epatite cronica, se il danno non viene arrestato in tempo
- l’epatocarcinoma, ossia il tumore del fegato, che rappresenta solitamente la complicanza ultima della cirrosi
- le malattie ereditarie e metaboliche come l’emocromatosi, derivante dall’accumulo di ferro, la malattia di Wilson derivante dall’accumulo di rame, la Sindrome di Gilbert, caratterizzata da un’alterazione nel metabolismo della bilirubina.
2. Perché è importante saper riconoscere un problema al fegato?
Le malattie epatiche rivestono notevole importanza per vari motivi. Il primo è l’epidemiologia: una grande fetta di popolazione, pari a circa il 10% del totale, ha abitudini di assunzione di alcol potenzialmente a rischio di indurre un’epatopatia. Inoltre il 9% della popolazione italiana è obesa, il 35% è in sovrappeso e circa il 5% è diabetica: tutte queste condizioni sono fattori di rischio per lo sviluppo di una malattia epatica di tipo dismetabolico, come la steatosi o la steatoepatite.
In secondo luogo, è importante fare diagnosi di malattia epatica per l’alto rischio di mortalità e morbilità, sostenute soprattutto dalla complicanza ultima che può interessare qualsiasi epatopatia cronica, ossia il tumore del fegato.
Inoltre, oggi la possibilità di trattamento di queste patologie è ampia: se la diagnosi è precoce c’è una reale possibilità di prevenire e trattare la patologia epatica e le sue complicanze. Ad oggi esistono farmaci per l’eradicazione dell’epatite C, per il controllo e la prevenzione dell’epatite B, per favorire la remissione della steatosi e per rallentare o bloccare l’evoluzione delle patologie autoimmuni.
3. Le malattie epatiche danno sintomi?
Le malattie che interessano il fegato sono spesso caratterizzate dall’assenza di sintomi specifici, fino alla comparsa delle complicanze derivanti dall’aggravamento della patologia. Per il malato di fegato quindi lo sviluppo del sintomo coincide nella maggioranza dei casi con la transizione in una fase di malattia che si associa ad un’aspettativa di vita significativamente ridotta, nella quale purtroppo la malattia è evoluta e il danno all’organo è già diventato sostanzialmente irreversibile.
Alcuni pazienti si rivolgono ad uno specialista epatologo perché hanno dolore nel quadrante superiore destro dell’addome, convinti che quel dolore sia causato dal fegato malato. In realtà spesso si tratta di un problema a livello gastrointestinale, ad esempio da ipersecrezione con duodenite erosiva, da colon irritabile oppure da colica biliare, in cui si ha un dolore epigastrico molto forte, tipo coltellata, che poi tende ad irradiarsi al fianco destro ed eventualmente al dorso, a causa di un calcolo incuneato nella colecisti che non permette il deflusso biliare.
L’unica condizione di dolore all’ipocondrio destro riferibile al fegato è la distensione acuta della sua capsula, che può avvenire a causa di un difetto di scarico in persone non allenate che corrono, oppure rarissimamente in casi di epatiti fulminanti, eventi acuti che causano una distensione improvvisa e consistente del fegato per la presenza di una robusta infiltrazione infiammatoria.
Occasionalmente, il malato di fegato può lamentare alcuni sintomi che tuttavia sono aspecifici e non permettono la corretta identificazione della patologia: includono infatti astenia, anoressia, calo ponderale, nausea e vomito. Gli unici sintomi più specifici che indicano un problema epatico o alle vie biliari sono l’ittero – ovvero la pigmentazione giallastra della cute o delle mucose - ed il prurito, ma questi si manifestano raramente in fase acuta dove durano per pochi giorni e più frequente nelle forme di cirrosi evolute. I sintomi derivanti, invece, dalle complicanze della epatopatia cronica includono il sanguinamento dalle vene varicose, lo sviluppo di ascite (comparsa di liquido in addome) e la comparsa di confusione mentale e delirio per l’encefalopatia portosistemica.
4. Come sospettare un problema al fegato?
Dal momento che i sintomi non ci vengono in aiuto al fine di identificare una malattia del fegato, gli unici strumenti per sospettarla sono gli esami del sangue bioumorali e la presenza di fattori di rischio come il contatto con soggetti che hanno o hanno avuto l’epatite, una pregressa infezione da epatite B o C oppure abitudini di vita caratterizzate da assunzione alcolica eccessiva o problemi metabolici (obesità, sovrappeso, diabete).
Gli indicatori ematochimici di danno epatico sono:
- le due transaminasi AST e ALT: sono l’espressione più tipica di danno parenchimale epatico, anche se possono alterarsi per altre ragioni. L’AST ad esempio può essere alterato a causa di danno muscolare, dopo uno sforzo fisico molto intenso come una corsa o una maratona
- La fosfatasi alcalina: indicatore di danno colestatico, ossia nelle vie di deflusso biliare
- La gammaGT: si può associare ad un danno colestatico, ma è un parametro più aspecifico in quanto può essere indice di patologie parenchimali di tipo metabolico, danno tossico da farmaci (ad esempio antiepilettici) oppure da alcol, particolari alterazioni della morfologia vascolare del fegato.
Gli indicatori ematochimici della funzionalità epatica sono invece l’albumina e la pseudocolinesterasi, prodotte dal fegato, la bilirubina totale e frazionata che contribuisce alla formazione della bile. e il PT o INR, un paramento influenzato dalla produzione dei fattori della coagulazione, di cui il fegato è responsabile.
Infine un altro parametro importante da valutare è il numero delle piastrine, che si può ridurre in caso di splenomegalia o ipersplenismo secondario conseguente a malattia epatica cronica.Le piastrine e gli indici di funzionalità e sintesi epatica non sono sempre utili, perché la riserva funzionale del fegato è tale per cui questi parametri rimangono perfettamente nella norma e iniziano ad alterarsi solo quando il soggetto evolve verso una fase più avanzata di malattia o in presenza di un danno acuto grave.
Qualora si abbia un’alterazione di uno di questi parametri, dunque, è fondamentale recarsi dal medico per valutare la presenza del danno e fare ulteriori accertamenti che permettano di dare maggiori connotazioni all’eventuale patologia epatica presente.
5. Quali indagini ulteriori è consigliato eseguire?
In presenza dei sintomi indicati in precedenza e di alterazioni ematochimiche specifiche, è bene approfondire il quadro clinico e fare ulteriori esami del sangue che comprendano: la sierologia per le epatiti virali, gli autoanticorpi che sostengono le malattie autoimmuni (ANA, ASMA, AMA, LKM1), gli indicatori del metabolismo del ferro, del rame, del glucosio e dei lipidi.
Il percorso diagnostico continua poi con l’ecografia epatica, nella quale si valutano una serie di parametri specifici come:
- Le dimensioni e i margini del fegato: nelle fasi iniziale di malattia le dimensioni sono aumentate, la riduzione avviene solo nella cirrosi avanzata. Gli elementi iniziali più suggestivi di cirrosi sono l’irregolarità del margine epatico e il cambiamento del rapporto tra fegato destro e sinistro, perché si realizza una condizione di ipertrofia
- La texture del fegato (ovvero la consistenza della superficie): normale, omogenea o addensata. In quest’ultimo caso è espressione di cirrosi epatica
- L’ecogenicità (ossia la scala di grigio del fegato): tipica è l’ecogenicità della steatosi in cui il fegato appare “brillante”
- Lo stato della milza, che come detto in caso di cirrosi può aumentare di dimensioni
- L’elastometria, ovvero il livello di cicatrizzazione del fegato, al fine di valutare la consistenza epatica che correla direttamente con il grado di fibrosi.
Il percorso diagnostico può proseguire con altre tecniche di imaging (TC o RM) oppure con la biopsia epatica, utilizzata soprattutto per fare diagnosi di forme autoimmuni o di epatocarcinoma. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, gli esami del sangue e l’ecografia sono sufficienti a fare la diagnosi eziologica e ad intraprendere la terapia più appropriata.